Quest’anno compirà sedici anni. Da quando è nata, nel 2005, si occupa di coordinare iniziative e percorsi volti a sviluppare la ricerca e la gestione delle strutture sanitarie dedicate all’area materno-infantile e all’età evolutiva. Stiamo parlando dell’AOPI, l’Associazione Ospedali Pediatrici Italiani, una realtà senza scopo di lucro di cui fanno parte le principali realtà nazionali in questo ambito, compresi i grandi dipartimenti policlinici universitari. Una vera e propria rete, uno strumento di collegamento e di dialogo tra tutte quelle specialità che, quotidianamente, assistono i pazienti più piccoli. Un punto di riferimento per le famiglie che cercano risposte chiare per le esigenze dei propri figli, ecco cos’è.
Dal 1° gennaio 2021 al vertice dell’associazione c’è il dottor Alberto Zanobini, già direttore generale di una delle strutture pediatriche d’eccellenza del nostro Paese che fanno parte dell’AOPI: l’ospedale Meyer di Firenze. Con lui abbiamo fatto un punto sulla situazione sanitaria attuale, analizzando gli effetti che il Covid ha provocato sull’assistenza ai bambini e focalizzando l’attenzione sugli studi e le ricerche contro le malattie rare che, proprio nei donatori, vedono alleati straordinari per tutelare la salute dei più piccoli.
Dottor Zanobini, cosa significa per lei essere stato eletto presidente dell’AOPI?
«Per me è senza dubbio una nomina di grande prestigio. Questa associazione lavora da anni per riunire ospedali pediatrici, dipartimenti universitari e grandi organizzazioni terapeutiche italiane. Una realtà fondamentale per fornire risposte ai bambini e alle loro famiglie: la nostra mission è curare il management per la salute dei più piccoli e collaborare con tutti gli altri attori del sistema sanitario, soprattutto in un periodo così delicato come quello che stiamo attraversando a causa del Covid».
A proposito del virus: che effetti ha provocato la pandemia sul sistema pediatrico?
«Sotto il profilo organizzativo è stato tutto molto complicato, con i reparti che sono stati costretti a uno sforzo non indifferente per continuare a garantire l’assistenza necessaria. Il coronavirus è stato devastante anche per i cosiddetti effetti indiretti: ad esempio sono diminuite le diagnosi di tumori infantili perché molte attività ospedaliere sono state rivoluzionate, sono aumentate le difficoltà psicologiche e neuropsichiatriche a causa del lockdown. Senza contare gli episodi di violenza domestica sui minori. E poi i casi di obesità, la vita sedentaria e la riduzione delle vaccinazioni nella prima infanzia. Non possiamo permetterci di lavorare in emergenza, il nostro sistema sanitario deve essere più flessibile e garantire ogni cura».
Incoraggiare la diffusione di best practices e ricerca è tra gli obiettivi dell’associazione: cosa si porterà dietro, nel prossimo triennio, della sua esperienza al Meyer?
«Senza dubbio il fatto di aver lavorato in costante contatto con tutti. Nella nostra regione abbiamo promosso il progetto “Rete pediatrica toscana”, ossia un collegamento che permette alle realtà sanitarie del territorio di lavorare come fossero un’unica organizzazione, con tanto di percorsi e linee guida comuni, compresi i progetti di assistenza. Mi piacerebbe esportare questo modello di casa comune anche a livello nazionale, instaurando una rete tra gli ospedali italiani. Un’altra iniziativa importante che abbiamo avviato a Firenze è quella chiamata “Il Meyer a casa tua”, un protocollo attivato per garantire l’assistenza a domicilio per i piccoli pazienti oncologici e non interrompere i servizi nemmeno durante la pandemia».
Da diversi anni, in collaborazione con AVIS Nazionale, al Meyer si sta sperimentando una terapia a base di plasmina, un derivato del plasma, per curare una malattia rara come la congiuntivite lignea*: a che punto siamo?
«Abbiamo da poco concluso la fase di sperimentazione e da uso compassionevole si punta ora a mettere questo farmaco a disposizione dei pazienti attraverso il Servizio Sanitario Nazionale. È un bellissimo esempio di come si possano creare sinergie per accelerare la ricerca sulle malattie rare. L’obiettivo di consolidare il concetto di rete a livello nazionale è anche questo: avviare un percorso di avvicinamento a quelle strutture pediatriche che vediamo come modelli, ad esempio Boston e Barcellona, rendendo i nostri ospedali dei poli affiancati da realtà che partecipano attivamente alla ricerca».
Quanto in quest’ottica è importante l’attività di AVIS e dei donatori e cosa possiamo fare per sostenere l’attività degli ospedali pediatrici?
«Il caso della plasmina è la dimostrazione di come, con un gesto tanto semplice quanto strategicamente prezioso, sia possibile implementare studi e ricerche per curare le malattie rare e dare speranza a tanti bambini. La donazione è il primo esempio di cittadinanza attiva e di rete su cui si basa il nostro sistema sanitario, un contributo vitale anche per i più piccoli che, in caso di necessità, possono contare su trasfusioni salvavita. Sarebbe importante pensare a una serie di campagne di comunicazione e sensibilizzazione da condurre insieme».
Cosa si aspetta da questo periodo di presidenza dell’AOPI?
«Il mio desiderio è creare un nuovo modello di ospedale e garantire uno strumento di dialogo in più con le istituzioni. Lavoro in questo settore da circa trent’anni e da sempre sento parlare di digitalizzazione: prima, a mio avviso, occorre affrontare e curare il fattore umano, per poi applicare successivamente le tecnologie più avanzate. Le istituzioni vanno stimolate per sostenere la ricerca sulle malattie rare, come la congiuntivite lignea e tante altre, che colpiscono non solo i bambini, ma anche gli adulti. Investire in salute significa creare una società migliore e più produttiva».
*La congiuntivite lignea è una forma rara di congiuntivite cronica, caratterizzata dalla formazione ricorrente di lesioni pesudo membranose di consistenza lignea (da cui il nome), a livello delle superfici palpebrali, e ricche di fibrina. Neonati e bambini sono i soggetti più a rischio. Le lesioni oculari possono essere trattate mediante terapia topica a base di plasminogeno umano o plasma fresco congelato.